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  • Marketing e interazioni tra persone e aziende, dal 2004

Marketing, da b2b a back to brand

Su invito di Giorgio Soffiato (CEO of) ho tenuto un keynote al B2B Digital Day di Marketing Arena (un evento che anno dopo anno migliora): il titolo dell’evento si chiedeva se il b2b (il marketing b2b, non il settore, ovviamente) fosse “morto”, sulla spinta del fatto che ora vanno “human to human”, “business to person”, ecc. ecc. E se quindi il b2c fosse il modello vincente e unico. Che cosa ho detto? Vado a memoria, di sicuro dimentico qualcosa.

  • Che il B2B deve finirla di sentirsi un parente povero del b2c. Basta sensi di inferiorità: meno soldi da investire in pubblicità broadcast non è sinonimo di minori capacità del marketer (anzi), nonostante il fatto che per motivi ovvi i centri media e affini, che marginano sullo spending in adv, non vi corteggino e non vi adulino. Ma il marketing e la pubblicità sono cose MOLTO diverse.
  • Che Seth Godin può essere usato per dimostrare qualunque tesi, tutto e il contrario di tutto. Una sua famosa frase è che “il compratore b2b è solo un b2c che non paga con i suoi soldi”. Ovviamente Seth dice una grande str***ta solo per provocarci. Ma su di una cosa ha ragione, il buyer è una persona. Le aziende non comprano, mai. Le persone, sempre. Tuttavia c’è un fattore enorme che fa differire le situazioni: il rischio. Il b2b marketing è sempre e principalmente “abbassamento della percezione del rischio”. Posso perdere i miei soldi allegramente, ma il mio lavoro a causa di scelte sbagliate, meno. E abbassare significa fare reputazione. E fare reputazione, in ultima analisi, è alla base del concetto di brand.
  • Che le persone siano persone, mi sembra ovvio. Salvo spesso a chi lavora nel b2b. Da una parte torturiamo il buyer con siti in slang, nomi di prodotti inintelligibili, esperienze UX tragiche (eh, ma siamo b2b!), “chiamate al telefono per saperne di più”. Quando la stessa persona è abituata a farsi portare il pranzo in ufficio con un tap sulla app. E al contrario non vengono mai usate le famose attività persuasive (social proof, scarcity, likeability, ecc.) Perché pensiamo che il buyer dietro la scrivania sia un razionale homo economicus. Ebbene, non lo è. È soggetto a bias di ogni tipo. E’ affascinato dalle aziende con un brand forte, per esempio. Approfondimento, un po’ cialtrone, ma interessante.
  • Che i percorsi di acquisto sono – ovviamente – diversi. Lunghi, con multidecisori, ecc. Che il funnel marketing (che non è marketing, ma mail automation) può funzionare piuttosto bene, tant’è che il b2c di prodotti complessi lo sta adottando, per distribuire i messaggi nel customer journey. Ma non è un’arma magica, non adottiamo senza pensare, non compriamo software miracoloso, metodi miracolosi, perché i miracoli succedono solo a Medjugorie e mai riguardano il marketing.
  • Attenzione al grado di propensione al rischio e accettazione della novità, molto diverso dal b2c e spesso una vera e propria avversione, nel b2b. In molte aziende, se non è adottato dal 75% del mercato, non si compra. Poi spesso i risultati si vedono, ma questo è un discorso che ho affrontato dopo, quello dell’effetto gregge.
  • Il content shock non è uguale in ogni settore. Ci sono settori b2b in cui il contenuto è poco, scarso e inusabile. Se un portale semispam occupa il primo posto di Google, fatevi domande sulla qualità del vostro messaggio. Quindi, il content magnetismo può funzionare o no. Come al solito, conta l’analisi strategica preliminare al “facciamo un blog, un sacco di post” ecc. ecc.
  • Il buyer — strano eh — compra quando è già convinto. E si convince online, nella maggior parte dei casi. Il venditore non vende più, chiude la vendita, tesse relazioni, fa customer retention. La maggior parte degli incentivi alla vendita non servono, perché in caso di vendita, sono soldi buttati. E in caso di non vendita, sono soldi che non saranno utili. Spostiamo il budget sul PULL, anche nel b2b
  • Riapriamo il Kotler e leggiamo “marketing myopia”. Feature, caratteristiche, prodotto. Al buyer non interessa, almeno non subito. Vuole fare un buco, non comprare un trapano. Semplice ma sempre dimenticato. Eppure, aprite un sito b2b a caso.
  • La soluzione è tornare al brand, b2b come back 2 brand. Brand non è essere molto conosciuti (una preghiera per l’azienda di macchinari che ha fatto uno spot sul TG5 di questa stamattina, non sarà viva tra qualche anno), ma è essere riconoscibili. Dal prodotto, dal packaging (perché aziende che sono le “ferrari” del loro settore impacchettano i prodotti come l’ultimo dei produttori cinesi?). Perché le istruzioni fanno schifo? Perché su Youtube non si trova un tutorial? Il brand non è un logo, è una sensazione che deve essere coerente, e far capire che tu sei tu e sei diverso dagli altri. Il b2b deve essere quindi brand-led dalla progettazione al post vendita, passando per tutti i touch point. Il catalogo è un pezzetto, e basta.  Approfondimento di spessore.
  • Il prodotto b2b può essere uno status symbol. Se siete la ferrari delle macchine da caffè per il bar, fatelo vedere al barista ma anche agli avventori. Il vostro mercato non coincide con il vostro gestionale. Non vendete se qualcuno non compra, usa o interagisce con soddisfazione con il prodotto che avete venduto. La user experience di secondo livello (clienti dei clienti) deve essere analizzata, misurata. il b2b marketing della vostra azienda deve avere una sua personalità. Deve avere valori portanti, creare un senso di appartenenza.
  • Non seguite la strada degli altri, si sono persi anche loro, probabilmente. E invece il b2b è il regno dell’effetto gregge. “Voglio un sito fatto come quello del competitor”. Parlate con i vostri clienti, fate un sito che risponda ai loro bisogni. Meno sono i visitatori, meglio li dovete trattare.

Sul marketing b2b avevo scritto anche questo sempreverde framework.

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3 commenti

  1. Molto interessante il punto nel quale viene detto:”Il b2b deve essere quindi brand-led dalla progettazione al post vendita, passando per tutti i touch point.”

    Infatti una attività deve fare branding in ogni momento e in ogni step della sua attività; dalla progettazione (come viene scritto), all’informazione di questo prodotto (blog? social? advertising? dépliant?), alla customer care. Il B2B in finale, in questo argomento, non è tanto diverso dal B2C

  2. “perché aziende che sono le “ferrari” del loro settore impacchettano i prodotti come l’ultimo dei produttori cinesi?”. bravo. mi sono cadute le braccia quando ho visto un commesso di Tiffany estrarre un anello nuovo da un sacchettino di plastica trasparente. è inutile poi metterlo nella scatoletta verde Tiffany con fiocchetto di raso bianco, tanto ormai lo so che prima stava in un sacchettino di plastica trasparente tipo reperto di dna dell’FBA.

  3. simona

    So che Tiffany è b2c, ma vale lo stesso :-)