Ormai, se la tua azienda non salva il mondo o il clima o una minoranza etnica del Congo non si può dire all’altezza della situazione, e il CEO si vergogna un po’. La purpose è arrivata a essere una strategia di marketing talmente comune da non essere più nemmeno efficace perché non differenzia, che è uno degli obiettivi fondamentali della strategia di marketing.
Ne avevo scritto qui sul blog, nella versione “purpose per millennial” (Greta dico a te) e qui su Link.
Barbara
Ho alcune domande:
– ma nel significato proprio e originale ‘avere uno scopo’ (inteso come altro/più alto di fare soldi e velocemente) è una strategia di marketing?
– il/la purpose è sempre una causa polarizzante?
– cosa c’entra ‘avere uno scopo’ con ‘eliminare dal prodotto possibili danni all’ambiente’? Cioè, non è che QUALSIASI produzione di massa, a qualche livello, fa qualche danno all’ambiente per definizione?
– il grande pubblico si aspetta che chi professa un qualche scopo, automaticamente debba essere etico in ogni campo?
Gianluca Diegoli
cerco di risponderti, anche se ho più dubbi che risposte :)
1) dipende, secondo me. quando la purpose è differenziante rispetto alla competizione, rientra nel posizionamento di marketing, sennò è CSR, si fa perché viene considerato normale farlo
2) sempre polarizzante forse no, ma in ogni caso nella maggior parte ci si schiera, e quindi ti perderai per strada qualcuno
3) be’ certo, qualunque prodotto usa risorse, il mio dubbio nasce dal fatto che molto spesso ci si pongono obiettivi “alti” e poi si dimentica l’ABC, cioè di diminuire il proprio impatto (sul packaging per esempio. Cioè apprezzo le aziende che magari non sponsorizzano il Pride, ma abbattono le emissioni, per intenderci
4) il grande pubblico — è il mio parere — non si interessa nemmeno dell’etica in generale, è sempre rivolto a una parte di consumatori, anche se sempre più importante. certo è difficili essere etici “solo un po’”